15.06.06

Verso il sud

Il cinema non parla spesso del desiderio delle donne, specialmente se riguarda quello delle donne sopra i quarant’anni. Qui non soltanto se ne parla, ma possiamo ascoltare le stesse donne che raccontano. Attraverso questi monologhi, queste confidenze fatte alla macchina da presa, le personalità delle donne si delineano più chiaramente. Ciò sostituisce una presentazione dei personaggi, offrendoci una graduale scoperta, nel corso dello sviluppo del film, di ciò che essi desiderano che si sappia di loro.

Sull’assolata isola di Haiti, negli anni ‘80, i turisti stranieri trascorrono le loro vacanze oziando tra le palme di alberghi da sogno affacciati sulla spiaggia. Brenda, Ellen e Sue, tre donne nordamericane, giungono sull’isola alla ricerca di un’avventura, di riposo e di un po’ di evasione dalla noia del lavoro e dei loro matrimoni.
Riescono a trovare quello che cercano in Legba, un enigmatico adone locale che le affascina con la sua bellezza e la sua passione.
Sarà questa passione a condurle fuori dalla gabbia dorata del turismo, aprendo loro gli occhi sulla realtà di Haiti, un paese povero e pericoloso sullo scorcio del moribondo e notoriamente violento regime di Duvalier.

Il film, tratto dal libro di Dany Laferrière, La chair du maître, si svolge a Haiti e solleva il problema dal punto di vista del turista che scopre questo paese per la prima volta. Secondo il regista, Laurent Cantet, che non ama le generalizzazioni, era importante dire di che paese si trattasse, definire una cornice e un’epoca precisa.

Ciò che ne risulta non è una favola contemporanea, non ci sono le povere vittime da una parte e i bastardi che le sfruttano dall’altra. Nella storia di Verso il Sud, Dany Laferrière sottolinea il fatto che ognuno ci guadagna qualcosa. L’albergo è come una piccola bolla dove gli americani si recano per dimenticare la realtà delle loro vite, piene di frustrazione e riscoprono il loro potere di seduzione. Invece per Legba, l’albergo è l’unico luogo dove può rifugiarsi dalla dura realtà del suo paese e trovare un po’ di affetto. É l’unico posto dove qualcuno gli dà ascolto, dove si sente un essere umano, una sensazione che nel mondo esterno gli viene sistematicamente negata. C’è un effettivo scambio tra lui e le donne.

Il filo conduttore del film è la domanda “Cosa ci faccio qui?”: le turiste, Legba e tutti coloro che ruotano nelle vicende, sembrano tutti cercare il proprio posto, il proprio ruolo nella società.
Una scena in particolare riassume l’essenza del film: quella in cui l’ispettore venuto per indagare sulla morte della giovane coppia, rifiuta a Ellen la possibilità di avere alcun ruolo nella vicenda. Per lei è una cosa terribile: chiede un ruolo che l’ispettore le nega. E’ impossibile per lei contare qualcosa in un paese che le rivolge le spalle e che non la riconosce. Le parole pronunciate in creolo che Albert traduce ad Ellen “andate, i turisti non muoiono mai”, sono davvero un colpo terribile, perché obbligano il turista (e/o lo spettatore) a riconoscere la sua condizione di eterno osservatore che non avrà mai la possibilità di prendere parte nella vicenda che si sta sviluppando, anche se ha la sensazione di esservi coinvolto.

Quando non esisti agli occhi degli altri, ti senti come se non esistessi per niente.

Posted by Imelda Antonicelli at 15.06.06 13:02